sabato 5 luglio 2014

La mossa del pinguino (2014)


La mossa del pinguino
Italia, 2014, colore, 94' (1h 34')
Regia di Claudio Amendola

Visto ieri a Maremetraggio al Teatro Miela.

2005. Bruno (Edoardo Leo) e Salvatore (Ricky Memphis) lavorano come addetti alle pulizie in un museo di Roma. Un giorno scoprono dell'esistenza del curling e, approfittando delle imminenti Olimpiadi Invernali a Torino, decidono di mettere su una squadra e provare a qualificarsi. I due amici cercano altre due persone per la squadra: uno potrebbe essere Neno (Antonello Fassari), cinquantenne campione di boccette, e l'altro Ottavio (Ennio Fantastichini), vigile in pensione e campione di bocce. Dopo alcune diffidenze iniziali, Bruno e Salvatore convincono i due a partecipare all'impresa. Ben presto, però, i quattro si scontrano con il proibitivo costo delle attrezzature (anche di seconda mano) e il tutto sembra destinato a morire ancora prima di cominciare.
Intanto Bruno e sua moglie Eva (Francesca Inaudi) stanno per essere sfrattati, ma Eva preleva dei soldi dal conto per gli studi del figlio Yuri (Damiano De Laurentis) e li affida a Bruno affinché ci paghi il mutuo. Bruno, invece, li usa per comprare le attrezzature per la squadra di curling.
Una notte, durante il turno di pulizie al museo, Bruno fa cadere una teca ed è costretto alle dimissioni. Quando torna a casa scopre che Eva è venuta a sapere che fine hanno fatto i soldi per la casa. I due litigano ed Eva caccia Bruno di casa. Bruno decide che l'unico modo per poter riconquistare Eva è quello di smettere di fare l'eterno bambino e diventare una persona seria: molla la squadra di curling (con estrema delusione di Salvatore), vende la macchina e si trova un lavoro serio come guardiano notturno di un parcheggio.
Su un giornale locale appare un trafiletto dedicato alla «Armata Brancaleone del ghiaccio» e questo convince Eva a riprendere Bruno in casa e a permettergli di partecipare alle Olimpiadi. I quattro, qualificatisi d'ufficio essendo l'unica squadra di curling del sud Italia, vanno a Pinerolo per le selezioni. Questa gita dà modo ai quattro di parlare e di chiarirsi: Neno e Ottavio appianano alcune "divergenze" che hanno avuto in passato, mentre Bruno e Salvatore rinsaldano la loro amicizia e discutono delle loro famiglie (Bruno parla di Eva e Yuri mentre Salvatore parla del padre (Sergio Fiorentini) morto da poco cadendo dal balcone di casa sua).
Eva e Yuri raggiungono la squadra a Pinerolo e fanno il tifo per Bruno. I quattro perdono, ovviamente, ma riescono almeno a fare il punto della bandiera.

La mossa del pinguino segna l'esordio alla regia di Claudio Amendola, e devo dire che se la cava degnamente. E, per non smentirsi, Amendola confeziona un film molto "romano", non solo per gli attori e le ambientazioni, ma anche per il tipo di comicità, che è "di pancia". Non fraintendetemi: non significa assolutamente che è una comicità greve o volgare, ma semplicemente che è una comicità fisica, basata più sulla risata veloce rispetto, ad esempio, al gioco di parole o alla raffinata ironia. Però è una comicità scritta bene, non scontata né banale, che funziona e arriva esattamente dove deve arrivare. I momenti comici si susseguono con un buon ritmo e gli inevitabili momenti più seri o drammatici sono ben inseriti nella storia e, ben più importante, non sono mai stereotipati o forzati.
Il cast funziona benissimo. I quattro protagonisti recitano bene e risultano credibili – ammettendo la fantasiosa situazione di partenza, ovviamente, ma questo rientra nella sospensione di incredulità richiesta dalle commedie di questo tipo. Oltretutto la storia è, sì, fantasiosa ma non è mai inverosimile, e questo è un punto a favore degli sceneggiatori (quattro: lo stesso Amendola e il già citato Edoardo Leo assieme a Michele Alberico e Giulio Di Martino). Ai protagonisti si affiancano un giovanissimo Damiano De Laurentis, perfetto nella parte del figlio di Bruno, e Francesca Inaudi, un'attrice che a me piace molto e che non mi dispiacerebbe vedere più spesso sul grande schermo.
Certo, il film è ben lungi dall'essere perfetto - in fin dei conti è la prima regia di Amendola – e il famoso attore cade in certi errori che, onestamente, potevano essere evitati. Tra questi sicuramente l'uso del ralenti e dell'abusatissimo tema di Momenti di gloria nel momento clou della partita di curling), ma anche il fatto che la fantomatica "mossa del pinguino" è, in fondo in fondo, un po' una cazzata. Poi non so se sono io, ma un paio di "product placement" potevano essere pensati meglio (magari sbaglio, ma le colazioni della famiglia di Bruno sembrano spot per i Coco Pops...).
Insomma, La mossa del pinguino è un film tutto sommato godibile, che intrattiene e diverte – ovvero fa esattamente quello per cui è stato creato - e che si stacca di molto dalle brutte "commedie" a cui certo pessimo Cinema italiano ci ha abituato ultimamente.

Pensavo fosse Amore... invece era un Calesse (1991)


Pensavo fosse Amore... invece era un Calesse
Italia, 1991, colore, 113' (1h 53')
Regia di Massimo Troisi

Visto ieri a Maremetraggio al Teatro Miela.

Cecilia (Francesca Neri) lavora in una libreria ed è fidanzata con Tommaso (Massimo Troisi), gestore di un ristorante. I due si amano e pensano al matrimonio, ma Cecilia è talmente gelosa da credere fermamente che Tommaso abbia delle amanti che, in realtà, non ha.
Cecilia lavora con Amedeo (Angelo Orlando), la cui giovane sorella Chiara (Alessia Salustri) è innamorata persa di Tommaso. Lui la rifiuta, non solo perché già fidanzato con Cecilia, ma anche perché Chiara è davvero troppo giovane per lui. Chiara, disperata, tenta di uccidere Tommaso mettendogli del veleno nel caffè e mandandolo all'ospedale.
Pochi giorni prima delle nozze, Cecilia lascia Tommaso e l'uomo non sa darsi pace. Qualche tempo dopo alcuni pescatori dicono a Tommaso di aver visto Cecilia uscire dal cinema con un altro, un certo Enea (Marco Messeri), un giudice di gara più grande di lei e che le promette mari e monti.
Tommaso decide di affidarsi ad una fattucchiera (Nuccia Fumo) per far reinnamorare di sé Cecilia e per allontanare Enea. Affinché la maga possa operare i suoi trucchi, Tommaso le porta tre ciocche di capelli: una sua, una di Cecilia e una di Enea. Tommaso, però, scopre che Cecilia ed Enea portano al braccio degli amuleti dello Zimbabwe contro i malefici. Approfittando di una gita in barca, Tommaso riesce a buttare a mare i due amuleti. Il giorno dopo Enea scopre Cecilia e Tommaso fare sesso. Chiara incendia la moto di Enea ma questi, per proteggere Amedeo, decide di non denunciarla e, semplicemente, di sparire.
Tommaso e Cecilia organizzano nuovamente il matrimonio. Tommaso torna dalla fattucchiera la quale gli rivela di non aver avuto tempo di lavorare sulle ciocche di capelli e, quindi, di non aver fatto niente. Tommaso, invece, si rende conto di non amare più Cecilia. Così il giorno dopo Tommaso non si presenta al matrimonio ma manda un biglietto a Cecilia chiedendole di raggiungerlo in un bar. Lei lo fa e mentre i due stanno parlando, il bar si svuota e partono i titoli di coda.

Onestamente non capisco come un film tanto imbarazzante sia così apprezzato dalla gente. La regia di Troisi è dozzinale, anche perché le interpretazioni sono di un livello molto basso. Tremende quelle dei pescatori, che davvero non hanno idea di cosa sia la recitazione; molto mediocri quelle degli altri attori, che spesso non sanno cosa dire e saltano da un discorso all'altro come se, anziché un copione, avessero ricevuto solo vaghe indicazioni sugli argomenti da trattare e poi andassero a braccio. I momenti comici, poi, sono artefatti e sopra le righe (ad esempio quando Tommaso beve il caffè avvelenato o quando Enea si sbraccia con le bandierine - pensato come momento comico e invece solo patetico).
C'è del buono in questo film, ad esempio quando tutti trovano Enea bello e affascinante mentre Tommaso lo vede come un omuncolo insignificante e bruttino, ma sono rari sprazzi che si perdono in un mare di mediocrità e di retorica.
Un film estremamente sopravvalutato, che dice ben poco e che, probabilmente, se non portasse la firma di Troisi sarebbe già scivolato nel dimenticatoio.

giovedì 3 luglio 2014

Tutto parla di te (2012)


Tutto parla di te
Italia/Svizzera, 2012, b/n e colore, 86' (1h 26')
Regia di Alina Marazzi

Visto ieri a Maremetraggio al Teatro Miela.

Pauline (Charlotte Rampling) è un'etologa. Emma (Elena Radonicich) è una ballerina che da poco ha avuto un figlio. Quando Emma è rimasta incinta, ha avuto molta paura: non sapeva fin quando avrebbe potuto continuare a ballare ed era sicura che, una volta smesso con la danza, non avrebbe più ripreso.
Pauline non conosce Emma, ma la segue insistentemente. Emma, dal canto suo, non si fida molto di Pauline. Un giorno le due si scambiano un paio di battute e diventano subito amiche.
L'interesse di Pauline per Emma non diminuisce e la donna va a parlare col regista della compagnia per cui la ragazza ballava. Questi confida a Pauline di non aver problemi a assumere di nuovo Emma, ma è la ragazza che non vuole. Il regista aggiunge inoltre che Emma dovrebbe mettere le preoccupazioni per il figlio nella danza, così da far uscire la sua parte interiore.
Pauline rivela ad Emma la sua storia: quando era piccola ed era a scuola, in casa è scoppiato un incendio. La madre ha chiuso le finestre e ha fatto morire il figlio appena nato, fratello di Pauline. La madre di Pauline è stata ricoverata in ospedale e là si è lasciata morire dimenticando la famiglia e ciò che di brutto aveva fatto.
Emma vede che Matteo, suo figlio, guarda le foglioline di un albero e si rende conto di avere un figlio bellissimo.
Tutta questa storia è inframmezzata da vecchi filmati in bianco e nero (dell'infanzia di Pauline, probabilmente) e da interviste a madri che raccontano la loro esperienza e la loro vita dopo la nascita del loro primo figlio.

Cominciamo col dire che è fin troppo chiaro che il film è stato girato da una donna, per quanto riguarda il tema trattato e il modo di metterlo in scena. E questa, ci tengo a dirlo, non è discriminazione ma è solo una constatazione.
Quella che è un'opinione personale, invece, è che il film è brutto. E lo è per tanti motivi. Il primo sono i personaggi - o, meglio, il personaggio di Charlotte Rampling. Non so quale fosse l'intento della regista, ma una delle prime cose che Pauline dice a inizio film, a chi le chiede se la casa dove è tornata dopo tanti anni fosse la sua casa di infanzia, risponde sdegnata: «No, noi abitavamo sul lago». Posto che ancora mi chiedo di chi fosse quella casa, decisamente l'ingresso in scena della donna non ce la fa amare. E non ce la fanno amare nemmeno tutte le cose che fa dopo: parla da sola in casa (bieco espediente narrativo per creare nello spettatore la curiosità di capire cosa sia successo nell'infanzia della donna), si comporta come una stalker nei confronti di Emma, ficca il naso dappertutto e impiega un'ora e un quarto (!) a raccontare finalmente la sua storia.
E situazioni e dialoghi non contribuiscono a migliorare il film. Per metà film Emma detesta palesemente Pauline, salvo poi rivolgerle proditoriamente la parola (per dirle che non ha più tempo di leggere un libro, signora mia!) e diventarne la migliore amica. Ma potrei citare il dialogo in cui Emma si arrabbia perché secondo Pauline i bambini non sono così fragili: la ragazza si altera di brutto, urla un «Che cazzo vuoi?» all'amica, le chiede se ha mai avuto figli e se ne va. Una scena-cliché di rara bruttezza. O la fine, in cui il figlio di Emma guarda le foglie e lei, dal nulla, ha un'epifania che consente di chiudere il film più veloce della luce.
La parte peggiore, però, sono le interviste alle madri. Al di là che non hanno alcun nesso con la storia, tanto che sono inserite a forza nella trama, sono davvero terribili. Non scherzo: farebbero passare la voglia di maternità a chiunque! Vengono tutte spiattellate sullo schermo senza un filtro di alcun tipo. Anche supponendo che siano reali (quella di Emma non lo è, quindi potenzialmente non lo è nessuna), davvero si fatica a capire dove vogliano andare a parare. Far capire che la maternità non è solo rose e fiori? Davvero c'è qualcuno che lo pensa ancora? Il fatto che far crescere un figlio da soli non è semplice? E chi ha mai detto che lo sia? Ma soprattutto: e i padri? Dove sono? Sembra che le donne - tutte! - siano costrette a fare tutto da sole. Sono separate? Vedove? Cos'altro? E perché non dirlo anziché lasciare che il film suggerisca, in modo neanche troppo velato, il fatto che solo la madre ha il diritto/dovere di allevare figli?
Un film davvero terribile che propone stereotipi nella parte di fiction e non dà una forma alla parte documentaristica (ammesso che sia davvero tale), che si perde tra i generi ammassandoli senza un criterio, che spreca le poche idee buone che può avere per renderlo un ibrido tra il sensazionalistico e il femministico.

mercoledì 2 luglio 2014

Quel che sapeva Maisie (2012)


Quel che sapeva Maisie
What Maisie Knew, USA, 2012, colore, 93' (1h 33')
Regia di Scott McGehee e David Siegel

Visto ieri in DiVX.

Maisie (Onata Aprile) è una bambina di sei anni con due genitori, Susanna (Julianne Moore) e Beale (Steve Coogan), che litigano spesso. Una sera Susanna cambia la serratura di casa e lascia fuori Beale. I due finiscono presto in tribunale per il divorzio e Susanna fa molto leva su Maisie, inculcandole brutte idee sul padre. Il giudice, nonostante tutto, affida Maisie a Beale. Il cambio di casa non piace molto a Maisie ma a consolarla c'è Margo (Joanna Vanderham), la giovane tata della famiglia, molto affezionata non solo alla bambina ma anche al padre, tanto da sposarlo qualche mese dopo.
Il giorno dopo il matrimonio, nessuno va a prendere Maisie a scuola. Viene chiamata in tutta fretta Margo (che avrebbe già dovuto essere in Luna di Miele) ma quando la ragazza sta per portare via Maisie dalla scuola arriva un ragazzo dall'aria strafatta che dice di chiamarsi Lincoln (Alexander Skarsgård) e di essere il nuovo marito di Susanna. Lincoln è un barista giovane e palestrato ed è chiaro fin da subito che Susanna l'ha sposato solo per ripicca in seguito alle nozze di Beale e Margo. Maisie viene lasciata con Lincoln (anche se lei non vorrebbe) e torna a casa di Susanna. Nelle settimane seguenti, Maisie e Lincoln fanno amicizia e iniziano a divertirsi a giocare assieme, tanto da suscitare le gelosie di Susanna la quale vorrebbe avere la figlia solo per sé.
Susanna parte per un tour con la band e Beale è a Londra per lavoro. Anche Lincoln deve lavorare e non può portare Maisie al bar con sé, così prova ad affidarla a Margo. La ragazza, però, è rimasta chiusa fuori di casa perché Beale non ha mai messo il nome di lei sul contratto. Margo se la prende con Lincoln ma ingiustamente, così per scusarsi gli prepara una torta e gliela porta mentre è al lavoro. I due ragazzi cominciano a parlare e a conoscersi meglio, tanto che dopo poco iniziano a uscire con a Maisie e a passare parecchio tempo assieme.
Nelle settimane successive Maisie continua ad essere sballottata tra una famiglia e l'altra e gli unici che sembrano essere davvero interessati alle sorti e alla salute della bimba sono proprio Margo e Lincoln.
Un giorno, mentre Maisie, Lincoln e Margo sono a Chinatown, incontrano per caso Susanna. Lei strappa la figlia dalle mani dei due ragazzi accusando Margo di essere una stalker e ordinando a Lincoln di non farsi più vedere. Quest'ultimo è ben felice di andarsene e accusa Susanna di non meritarsi la splendida figlia che ha. La stessa sera Susanna deve ripartire per il tour, così molla Maisie al bar di Lincoln senza avvertirlo o assicurarsi che lui sia là. Infatti quella è la sera libera di Lincoln, così Maisie viene accolta dai colleghi del ragazzo e fatta dormire da loro finché il mattino dopo Margo non va a prenderla.
Stufa di questa situazione assurda, Margo prende Maisie e la porta lontano dalla città, nella casa sfitta di una sua cugina. Qualche tempo dopo riappare Lincoln che si scusa con Margo e la bacia. I tre vivono assieme per un po' finché Susanna non torna per riprendersi Maisie. La bimba, però, non solo non vuole andare via con la madre, ma ne ha addirittura paura. Susanna finalmente capisce la situazione, dà a Maisie i regali che aveva comprato per lei e la lascia con Lincoln e Margo.

Quel che sapeva Maisie è un buon film, che ingrana lentamente e fino a metà coinvolge poco, per poi finalmente aprirsi e lasciar trasparire il suo lato interessante. L'inizio è estremamente classico: i due genitori litigano e usano a turno la bambina come arma contro l'altro. Ottenere la custodia di Maisie costituisce una vittoria solo perché l'ex coniuge non può averla e non per far realmente del bene alla bambina. E Maisie - il film ce lo mostra chiaramente! - capisce tutto questo, nonostante la sua giovane età (nelle recensioni si legge spesso che Maisie è «dotata di uno spiccato spirito d'osservazione»; io credo semplicemente che non sia una stupida e si renda conto di cosa succede attorno a lei). Un inizio classico e che avrebbe potuto portare a un film come se ne sono visti tanti: un film fatto di pianti, di ricatti sentimentali, di scaramucce, di assistenti sociali, eccetera. E, invece, dopo un po' il film prende una strada diversa, dimentica completamente i genitori e si concentra sulla bambina e sui suoi... "genitori acquisiti". I quali, sorprendentemente, acquistano un ruolo inaspettato e diventano loro i protagonisti – dopo Maisie, naturalmente! – del film.
Parliamo degli attori. Nel ruolo dei genitori di Maisie ci sono Julianne Moore e Steve Coogan, che però hanno decisamente i ruoli più facili, più banali (nel senso di già visti ma anche di piatti, nonostante siano spesso esagitati o arrabbiati) e meno interessanti. Chi davvero brilla per interpretazione è la piccola Onata Aprile, che riesce a interpretare Maisie in un modo estremamente naturale e credibile, e secondariamente i due attori che interpretano i nuovi compagni dei genitori di Maisie e a cui è affidata buona parte del film.
Quel che sapeva Maisie è tratto dal quasi omonimo romanzo di Henry James (il titolo italiano del libro era Ciò che sapeva Maisie), scritto nel 1897. Io non l'ho letto, quindi non so se la trasposizione - e soprattutto l'attualizzazione - sono state condotte in modo da non snaturarne il senso. Quello che posso dire, però, è che il film che McGehee e Siegel hanno confezionato è non comune ed estremamente godibile. È un film che si stacca dalla scia di altre pellicole sullo stesso tema e che mette Maisie al centro del film, lasciando che gli adulti le girino intorno, ognuno con la sua storia personale a cui Maisie, come ci sia aspetta da una bambina di sei anni, è poco interessata. È lei che deve essere il centro del mondo per gli adulti che le vogliono bene e il film coglie perfettamente questo aspetto. Certo, non ha innovazioni registiche o particolari snodi narrativi che faranno gridare al capolavoro, ma è un film che, superata la diffidenza iniziale, non delude. Un buon film che può piacere anche a chi non è un appassionato del genere.

venerdì 3 gennaio 2014

Il Mundial dimenticato (2011)


Il Mundial dimenticato
Italia/Argentina, 2011, b/n & colore, 95' (1h 35')
Regia di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni

Visto ieri su Rai Replay.

In Patagonia viene ritrovato un cadavere avvinghiato a una macchina da presa. Il corpo - o, meglio, le ossa - sono quelle di Guillermo Sandrini, operatore del Campionato Mondiale di Calcio tenutosi nel 1942 nella Patagonia Argentina. Viene così ricostruita la storia di questo "Mundial" di cui ancora oggi si sa pochissimo.
Tutto inizia quando il Conte Otz, Ministro dello Sport del Regno di Patagonia di allora, contatta la FIFA e Jules Rimet perché desidera organizzare il Mondiale del 1942 proprio in Patagonia, credendo che ciò possa essere un valido deterrente contro la guerra.
Al Mondiale partecipano 12 squadre e si inizia l'8 novembre 1942 con la partita Italia (detentrice del titolo e della Coppa Rimet) contro Real Patagonia. Le altre squadre sono: Brasile, Francia, Germania, Inghilterra, Mapuche (indiani originari della Patagonia), Polonia, Scozia, Spagna, Unione Sovietica e Uruguay.
La prima semifinale, Italia-Germania, è vinta dalla Germania per 4 a 3. L'altra semifinale è Mapuche-Inghilterra, finita 2-1 con l'uso, per la prima volta nella storia del calcio, della "moviola in campo".
Il 19 dicembre 1942 si gioca la finale. Arrivati all'1-1, un violento temporale si abbatte sulla regione e la diga si rompe, allagando tutto. Un'alluvione che sommerge interamente lo stadio - tutt'oggi ancora sotto il livello dell'acqua - e uccide Sandrini che non vuole separarsi dalla sua cinepresa.
Nessuno ha mai saputo come andò a finire quella partita finché non viene sviluppata la pellicola trovata tra le mani di Sandrini. Il filmato rivela che la vittoria fu dei Mapuche e che la Coppa Rimet venne rubata dall'arbitro William Brad Cassidy, figlio del più famoso bandito Butch Cassidy.

Il mockumentary, perché di questo si tratta, è molto bello, anche se con poco sforzo in più e un po' di maggior cura su certi particolari poteva diventare un vero capolavoro. Intendiamoci: la storia è molto ben costruita, anche se la parte che riguarda Helena Otz è un po' vaga e finisce per essere poco interessante, ma soprattutto sono i documenti ad essere perfetti. L'album di figurine è magistrale e El tango de Helena Otz è a dir poco sublime. In realtà è quasi tutto davvero stupefacente per fedeltà, plausibilità ed esattezza storica. Dico "quasi" perché purtroppo ci sono un paio di cadute di tono, quelle a cui si accennava qualche riga fa, che strappano lo spettatore dalla magia della ricostruzione e gli rivelano la falsità di quello che sta vedendo. E quello che più fa rabbia è che davvero bastava poco per evitare queste imperfezioni e ottenere un lavoro perfetto sotto ogni punto di vista. Mi riferisco in particolare alla voce e al testo di un falso cinegiornale dell'epoca, che suonano troppo finti per essere credibili, e al "lorem ipsum" che si legge distintamente nel testo che correda il catalogo che viene mostrato a metà film. Questi due pugni nello stomaco riportano lo spettatore alla realtà e purtroppo rimangono vistosi nei su un prodotto che altrimenti sarebbe meraviglioso.
Ad ogni modo il finto documentario risulta estremamente gradevole, grazie anche a degli attori straordinari e delle guest star del mondo del calcio (tra cui Roberto Baggio) che riescono a rendere credibile e godibile il tutto. Un mockumentary gustoso, che non punta solo a divertire ma riesce anche a ironizzare con sottile intelligenza sul mondo del calcio, sulla società di allora e - perché no? - su quella di oggi. Un film che merita la visione e che forse, per il fatto di essere un documentario e per di più finto, non ha avuto quel gran richiamo di pubblico e quella notorietà che invece meriterebbe.