mercoledì 26 gennaio 2011

Mission: Impossible II (2000)


Mission: Impossible II
Mission: Impossible II, Germania/USA, 2000, colore, 123' (2h 3')
Regia di John Woo

Visto ieri sera su Rete 4.

Il dottor Vladimir Nekhorvich (Rade Serbedzija) è un biologo che ha creato in laboratorio Chimera, un virus potentissimo. Per poterlo trasportare meglio, il dottor Nekhorvich si inietta il virus ma deve assumere Bellerofonte, l'antidoto, prima di 20 ore dal contagio. Al fine di evitare imprevisti, il dottor Nekhorvich decide di affidarsi a Ethan Hunt (Tom Cruise), agente dell'IMF, Impossible Mission Force. Durante il viaggio, però, Ethan Hunt si rivela essere in realtà Sean Ambrose (Dougray Scott), un altro agente dell'IMF, con addosso una maschera in lattice che riproduce perfettamente i connotati di Hunt. Ambrose ruba virus e antidoto e lascia l'aereo prima di farlo schiantare contro una montagna. Ad Hunt, quello vero, viene chiesto di occuparsi del caso. Per farlo recluta il pilota di elicottero Billy Baird (John Polson) e l'esperto di sistemi informatici Luther Stickell (Ving Rhames), due vecchi compagni di squadra, e Nyah Nordoff-Hall (Thandie Newton), una ladra il cui unico merito apparente sembra sia quello di essere l'ex-amante di Ambrose. Seppur riluttante, Nyah accetta di rimettersi con Ambrose in modo da poter conoscere i suoi piani.
Hunt riesce a distruggere tutte le fiale del virus tranne una, ma quando Ambrose scopre il doppio gioco di Nyah, l'unica possibilità che la ragazza ha per salvarsi è proprio iniettarsi quella fiala di virus. Così Ambrose è costretto a lasciare Nyah in vita, mentre Hunt ha solo 20 ore di tempo per trovare l'antidoto e iniettarlo alla collega. Dopo varie peripezie, Hunt riesce nel suo intento: sconfigge Ambrose e salva Nyah un attimo prima che lei si getti da una scogliera per evitare di contagiare altre persone con il virus.

Il film, come sempre più spesso accade, non ha nulla a che fare con il telefilm, se non il «questo messaggio si autodistruggerà tra cinque secondi» e le maschere in lattice (ma non già i modulatori di voce, totalmente assenti nella serie TV). L'idea è che sarebbe bastato cambiare titolo e nomi e nessuno avrebbe mai collegato il film alla serie. Tanto più che nel telefilm ogni personaggio ha il suo ruolo ben determinato all'interno della squadra, mentre qui abbiamo una ladra il cui unico scopo è quello di infiltrarsi in casa dell'ex, un blando esperto di computer e un quarto uomo con una parte talmente marginale che quasi si poteva tagliare.
È chiaro che il film ha un solo intento: far fare a Tom Cruise la parte del figo. E per ottenere questo risultato vengono create ad arte situazioni inverosimili in cui il nostro esce da eroe. Emblematica è la scena in cui Hunt cerca di reclutare Nyah: anziché chiederlo e basta, come farebbe chiunque, Hunt la segue, la precede nella stanza del furto, le insegna il "mestiere", le evita l'arresto, ingaggia un folle (nel senso negativo del termine) inseguimento d'auto in cui poi lui salva lei da morte certa (peccato che sia stata lui a provocare l'incidente...) in una sequenza che va contro ogni legge della fisica. E così sono passati 20 minuti di film. Gli altri 100 sono altrettanto inutili e inverosimili.

giovedì 20 gennaio 2011

Hereafter (2010)


Hereafter
Hereafter, USA, 2010, colore, 129' (2h 9')
Regia di Clint Eastwood

Visto ieri al Giotto di Trieste.

Marie LeLay (Cécile De France) è una giornalista francese che, sopravvissuta ad uno spaventoso tsunami, ritorna in patria cercando invano di riprendere la routine di ogni giorno. Quando capisce di non poterlo fare, si prende un periodo di pausa dal lavoro per scrivere un libro nel quale raccontare l'esperienza che ha vissuto e, soprattutto, per indagare in merito alla visione che ha avuto nei minuti in cui è rimasta priva di sensi (in uno stato di pre-morte) durante la catastrofe naturale. Marie trova con fatica un editore americano disposto a pubblicare il libro e, una volta stampato, la casa editrice la invita a presentarlo pubblicamente a Londra.
Marcus e Jason (Frankie e George McLaren) sono due bambini londinesi che abitano con la mamma tossicodipendente (benché sulla via della disintossicazione). Mentre Jason è in città a fare una commissione, viene investito da una macchina e muore. Il fratello Marcus, più introverso e taciturno del gemello, non riesce a farsene una ragione e si chiude ancora di più in sé stesso. Quando i servizi sociali impongono alla madre di Marcus di disintossicarsi, pena la revoca dell'affidamento del bambino, il piccolo Marcus si ritrova temporaneamente ospitato da una affabile coppia abituata a prendersi cura di ragazzi orfani o con problemi. Marcus si rivolge a numerosi sensitivi (tutti volgari ciarlatani), nel tentativo di comunicare col fratello morto, finché girando per Internet non si imbatte nella foto di George Lonegan.
George Lonegan (Matt Damon) è un operaio di San Francisco con un dono particolare: poter parlare con i morti. Anche se il fratello lo invita a riaprire uno studio e lavorare come sensitivo, George vive male questo suo "potere" e l'unica cosa che desidera è una vita normale. Per un po' sembra funzionare con Melanie (Bryce Dallas Howard), finché lei non scopre il dono di George, gli chiede una seduta e rimane sconvolta dalle rivelazioni che George le fa a proposito del padre morto da poco. Quando George viene licenziato, decide di prendersi un periodo di "vacanza" e di girare il mondo. La sua prima tappa sarà Londra, per visitare la casa di Dickens di cui George è un grande fan.
A Londra le vite dei tre protagonisti si incontrano. Grazie all'aiuto di George, Marcus riesce a parlare con Jason il quale esorta il fratello a farsi coraggio e a vivere la propria vita. Grazie all'aiuto di Marcus, George incontra Marie con la quale inizia quella che a prima vista sembra una relazione seria.

Il film, dal punto di vista registico, è tecnicamente ben realizzato. Clint Eastwood è diventato ormai un regista più che affermato e sicuramente sa come far muovere i personaggi sulla scena, sa cosa vuole dai suoi attori e dal suo staff tecnico e lo ottiene (la sequenza dello tsunami è sublime per tecnica registica, effetti speciali e coinvolgimento emotivo). Tutto ciò, però, non basta se non si ha alle spalle una storia forte, e purtroppo in questo caso la storia forte non c'è.
Ogni spezzone di vita dei tre protagonisti è struggente, ma è troppo esile. La storia di Marcus è scritta apposta per commuovere: il padre assente, la madre drogata, i servizi sociali, il fratello morto ma che dall'Aldilà lo salva dall'esplosione della metropolitana. Bellissimo, ma troppo facile. Tanto più che a fine film non abbiamo la certezza che Marcus si sia staccato dall'idea fissa del fratello morto (anzi, vista la reazione in albergo, si presume che non abbia superato il trauma). La vicenda di Marie poi è, se possibile, ancora più vuota. Senza contare il modo in cui le tre storie si riallacciano: George è a Londra proprio quando c'è la fiera del libro e passa davanti allo stand di Marie proprio quando lei sta presentando il libro e proprio in quel momento passa Marcus che riconosce con sicurezza George benché l'abbia visto solo una volta in una foto su Internet. E in tutto ciò George, nonostante le insistenze di Marcus, nega non il fatto di trovare Marie bella o affascinante (cosa che può essere comprensibile) bensì il solo fatto di provare del vago interesse per lei.
È vero, il film non dà giudizi sulla vita oltre la morte né dà risposte che siano scientifiche o religiose, e questo è senza dubbio un pregio della pellicola e un merito dello sceneggiatore che è riuscito a scrivere una storia in cui si affronta il tema senza prendere posizioni e senza scadere nel sacro, come spesso accade. Il problema è che il film non dà niente. Non dà emozioni, se non quelle esili e immediate citate prima, che colpiscono ma non restano. Non dà spunti di riflessione sull'Aldilà: non ci sono temi su cui dibattere, non restano questioni aperte. Si esce dal cinema avendo visto un film bellissimo dal punto di vista tecnico, ma vuoto per quanto riguarda ogni aspetto emotivo. È un gioco ad incastro che crea tre storie parallele e le riallaccia nel finale, ma che non trasmette le emozioni richieste. E per un film così costruito, direi che questa è una grossa pecca.
Inoltre, ma qui forse sono davvero solo io, ho trovato fastidiosa la presenza della macchietta del cuoco italiano che insegna ad apprezzare la buona cucina con il sottofondo di arie d'opera. Sembra un personaggio uscito da una commedia americana di medio-bassa lega. Davvero fatico a capire la sua presenza in un film di questo genere e mi chiedo come abbiano fatto a convincere Eastwood ad inserirlo nelle riprese.

martedì 18 gennaio 2011

La versione di Barney (2010)


La versione di Barney
Barney's Version, Canada/Italia, 2010, colore, 132' (2h 12')
Regia di Richard J. Lewis

Visto ieri al Giotto di Trieste.

Barney Panofsky (Paul Giamatti) è un ricco produttore televisivo quasi settantenne, ebreo e alcolizzato che vive da solo dopo aver divorziato dalla sua terza moglie Miriam (Rosamund Pike). La pubblicazione di un libro che gli rinfaccia l'accusa di aver ucciso l'amico Boogie (Scott Speedman) è l'occasione per Barney di ripercorrere mentalmente tutta la sua lunga e intensa vita. Così Barney inizia a ricordare i momenti salienti della sua esistenza: il matrimonio a Roma con Clara (Rachelle Lefevre), pittrice esistenzialista morta suicida pochi giorni dopo le nozze; l'intenso rapporto con il padre poliziotto Izzy (Dustin Hoffman); l'indissolubile amicizia con Boogie; il matrimonio con "la seconda signora Panofsky" (Minnie Driver); l'incontro con Miriam proprio il giorno del matrimonio con la sua seconda moglie; la scoperta del tradimento della "seconda signora Panofsky" proprio con il suo migliore amico e l'incidente presso la casa al lago che porterà il detective O'Hearne (Mark Addy) a sospettare di Barney per l'omicidio di Boogie (pur mancando il cadavere); la successiva assoluzione da parte della polizia ma non di O'Hearne che continuerà a credere Barney colpevole; il matrimonio con Miriam, speaker radiofonica e unico vero amore di Barney, con cui avrà tre figli; il successivo tradimento di Barney e il conseguente divorzio, e infine il dover accettare e fronteggiare l'insorgere dell'Alzheimer. Alla fine, quando ormai Barney è vinto dalla malattia, viene ritrovato il corpo di Boogie e uno dei figli di Barney capisce finalmente la verità, scagionando così il padre da ogni responsabilità per la morte dell'uomo. Il film si chiude con Miriam che va al cimitero a rendere omaggio alla tomba di Barney, lasciando nello spettatore il dubbio se la donna accetterà il posto che l'ex marito le aveva riservato accanto a lui nel loculo.

Pur essendo stato un successo editoriale alla sua uscita, trovo il libro profondamente mal scritto. Ciò nonostante è estremamente interessante la scelta dell'autore, Mordecai Richler, di raccontare la vita di Barney non in modo cronologico e lineare ma lasciando che i ricordi fluiscano senza un particolare ordine dalla mente del protagonista per comporre il mosaico tassello dopo tassello. Nel film tutto questo scompare: le vicende sono sì raccontate tramite flashback, ma ognuno di essi rappresenta un intero momento della vita di Barney e la loro successione è strettamente cronologica. In questo modo il film non aggiunge niente di nuovo a molti altri film dello stesso genere che l'hanno preceduto e l'eponima "versione di Barney" sulla morte di Boogie ci viene svelata a metà film. Inoltre dal libro sono stati tagliati tutti i racconti di Barney grazie ai quali ci si poteva far un'idea di quali e quante avventure egli sia stato protagonista e quante importanti amicizie abbia avuto. Nel film sembra che Barney sia un simpatico vecchietto che, a parte ritrovarsi con tre matrimoni e un'accusa di omicidio sulle spalle, non ha combinato niente di veramente importante nella vita. Inoltre manca tutta la sagace ironia tipicamente ebraica di cui è pieno il libro e che caratterizza fortemente Barney. Tutte queste cose sminuiscono il personaggio in sé e di conseguenza l'intera pellicola. Forse Lewis avrebbe potuto osare un po' di più anziché realizzare un film così "comodo".
Ad ogni modo sono da segnalare le ottime interpretazioni di Paul Giamatti (che, non a caso, ha ottenuto il Golden Globe proprio per questo ruolo), di Dustin Hoffman e di Rosamund Pike, nonché l'ottimo lavoro del reparto trucco che ha saputo invecchiare i protagonisti per le scene ambientate nel presente con vera maestria.