giovedì 20 gennaio 2011

Hereafter (2010)


Hereafter
Hereafter, USA, 2010, colore, 129' (2h 9')
Regia di Clint Eastwood

Visto ieri al Giotto di Trieste.

Marie LeLay (Cécile De France) è una giornalista francese che, sopravvissuta ad uno spaventoso tsunami, ritorna in patria cercando invano di riprendere la routine di ogni giorno. Quando capisce di non poterlo fare, si prende un periodo di pausa dal lavoro per scrivere un libro nel quale raccontare l'esperienza che ha vissuto e, soprattutto, per indagare in merito alla visione che ha avuto nei minuti in cui è rimasta priva di sensi (in uno stato di pre-morte) durante la catastrofe naturale. Marie trova con fatica un editore americano disposto a pubblicare il libro e, una volta stampato, la casa editrice la invita a presentarlo pubblicamente a Londra.
Marcus e Jason (Frankie e George McLaren) sono due bambini londinesi che abitano con la mamma tossicodipendente (benché sulla via della disintossicazione). Mentre Jason è in città a fare una commissione, viene investito da una macchina e muore. Il fratello Marcus, più introverso e taciturno del gemello, non riesce a farsene una ragione e si chiude ancora di più in sé stesso. Quando i servizi sociali impongono alla madre di Marcus di disintossicarsi, pena la revoca dell'affidamento del bambino, il piccolo Marcus si ritrova temporaneamente ospitato da una affabile coppia abituata a prendersi cura di ragazzi orfani o con problemi. Marcus si rivolge a numerosi sensitivi (tutti volgari ciarlatani), nel tentativo di comunicare col fratello morto, finché girando per Internet non si imbatte nella foto di George Lonegan.
George Lonegan (Matt Damon) è un operaio di San Francisco con un dono particolare: poter parlare con i morti. Anche se il fratello lo invita a riaprire uno studio e lavorare come sensitivo, George vive male questo suo "potere" e l'unica cosa che desidera è una vita normale. Per un po' sembra funzionare con Melanie (Bryce Dallas Howard), finché lei non scopre il dono di George, gli chiede una seduta e rimane sconvolta dalle rivelazioni che George le fa a proposito del padre morto da poco. Quando George viene licenziato, decide di prendersi un periodo di "vacanza" e di girare il mondo. La sua prima tappa sarà Londra, per visitare la casa di Dickens di cui George è un grande fan.
A Londra le vite dei tre protagonisti si incontrano. Grazie all'aiuto di George, Marcus riesce a parlare con Jason il quale esorta il fratello a farsi coraggio e a vivere la propria vita. Grazie all'aiuto di Marcus, George incontra Marie con la quale inizia quella che a prima vista sembra una relazione seria.

Il film, dal punto di vista registico, è tecnicamente ben realizzato. Clint Eastwood è diventato ormai un regista più che affermato e sicuramente sa come far muovere i personaggi sulla scena, sa cosa vuole dai suoi attori e dal suo staff tecnico e lo ottiene (la sequenza dello tsunami è sublime per tecnica registica, effetti speciali e coinvolgimento emotivo). Tutto ciò, però, non basta se non si ha alle spalle una storia forte, e purtroppo in questo caso la storia forte non c'è.
Ogni spezzone di vita dei tre protagonisti è struggente, ma è troppo esile. La storia di Marcus è scritta apposta per commuovere: il padre assente, la madre drogata, i servizi sociali, il fratello morto ma che dall'Aldilà lo salva dall'esplosione della metropolitana. Bellissimo, ma troppo facile. Tanto più che a fine film non abbiamo la certezza che Marcus si sia staccato dall'idea fissa del fratello morto (anzi, vista la reazione in albergo, si presume che non abbia superato il trauma). La vicenda di Marie poi è, se possibile, ancora più vuota. Senza contare il modo in cui le tre storie si riallacciano: George è a Londra proprio quando c'è la fiera del libro e passa davanti allo stand di Marie proprio quando lei sta presentando il libro e proprio in quel momento passa Marcus che riconosce con sicurezza George benché l'abbia visto solo una volta in una foto su Internet. E in tutto ciò George, nonostante le insistenze di Marcus, nega non il fatto di trovare Marie bella o affascinante (cosa che può essere comprensibile) bensì il solo fatto di provare del vago interesse per lei.
È vero, il film non dà giudizi sulla vita oltre la morte né dà risposte che siano scientifiche o religiose, e questo è senza dubbio un pregio della pellicola e un merito dello sceneggiatore che è riuscito a scrivere una storia in cui si affronta il tema senza prendere posizioni e senza scadere nel sacro, come spesso accade. Il problema è che il film non dà niente. Non dà emozioni, se non quelle esili e immediate citate prima, che colpiscono ma non restano. Non dà spunti di riflessione sull'Aldilà: non ci sono temi su cui dibattere, non restano questioni aperte. Si esce dal cinema avendo visto un film bellissimo dal punto di vista tecnico, ma vuoto per quanto riguarda ogni aspetto emotivo. È un gioco ad incastro che crea tre storie parallele e le riallaccia nel finale, ma che non trasmette le emozioni richieste. E per un film così costruito, direi che questa è una grossa pecca.
Inoltre, ma qui forse sono davvero solo io, ho trovato fastidiosa la presenza della macchietta del cuoco italiano che insegna ad apprezzare la buona cucina con il sottofondo di arie d'opera. Sembra un personaggio uscito da una commedia americana di medio-bassa lega. Davvero fatico a capire la sua presenza in un film di questo genere e mi chiedo come abbiano fatto a convincere Eastwood ad inserirlo nelle riprese.